La Madre

la madre

La Madre, la Dea in tutte le sue infinite forme, Śakti, è la matrice di ogni cosa. Le tante forme della Dea, le varie immagini, mostrano le diverse qualità energetiche attraverso le quali riconoscere l’Essere  che siamo.

Per quanto mi riguarda, i vari appellativi dati alla Madre sono da ricondurre ai diversi aspetti di sé che ci diamo la possibilità di riconoscere quando ne evochiamo la presenza.

Se non c’è nulla al di fuori di sé, ci può essere una divinità che cala dall’alto la sua saggezza? O il richiamare a sé una divinità rappresenta l'unirsi a una Sua qualità e dunque a una qualità energetica che è presente in noi per riconoscerci?

E in un universo che si mostra attraverso la progressiva solidificazione di energie estremamente sottili, ha senso fermarsi a identificare le varie divinità come prodotti della mente? Oppure fare ciò significa pretendere di mettere un punto fermo là dove la solidità non esiste?

Non separare mai
Ricorda
Lascia che sia
Non servire la paura
Anche quando si fa forte
Saprai comprendere

 

 

La Grande Madre

 

La Grande Madre è colei attraverso la quale il tutto assume consistenza e si mostra. Attraverso il suono, la vibrazione,  una infinita varietà di forme si palesano a mostrare vita e morte in tutte le cose. Ma sono vita e morte puramente illusorie in un mondo eretto sulle immagini, sulle forme identificatrici di separazione.

Lo scoglio maggiore, per l'uomo, è il riconoscere in ciascuna immagine la propria immagine, il proprio sogno, specie quando si parla della forma terrifica della madre, quella che risveglia il ricordo delle proprie paure, delle limitazioni.

L’incontro con la Terribile non fa nessuno sconto perché è l’uomo stesso, quando giunge a Lei, quando è pronto a lasciarsi andare a se stesso, a non farsi alcuno sconto.

 

Quando c’è amore tutto si scioglie.
Niente più legami, niente più costrizioni.
Perché in quell’amore tutto giace silente.

E allora, ogni parola identificatrice cade nel vuoto,
nella libertà della sola cosa.
Il mero giudizio cade anch’esso,
vittima sacrificale dell’abbandono.

E allora, la forma terrifica 
amata e idolatrata sulla via dell’abbandono
trova spazio come mera espressione di gioia,
là dove anche lo sguardo più cupo
si fa dolce e caro
agli occhi rivelatori.

I suoni dell'antica India

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